Good Luck – How To Film The World

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Good Luck, primo piano di un minatore.

Con Good Luck di Ben Russell si è chiuso il Carbonia Film Festival presenta How To Film The World. Ecco la recensione del film con alcune riflessioni sulla scelta di inserire questo lungometraggio nella programmazione e le possibili connessioni con la città del Festival

Dopo la proiezione di Good Luck al Carbonia Film Festival, Ben Russell (regista del film) ha affermato di aver individuato numerose somiglianza tra la città mineraria del Sud Sardegna e i luoghi dell’altra parte del mondo in cui è ambientato il suo film.

In effetti Good Luck presenta tutti i requisiti per entrare nella selezione del CFF e lascia trasparire i collegamenti tra le tematiche del Festival (lavoro e migrazione) e il senso di How To Film The World.

La prima parte del lungometraggio ci permette di immergerci nel lavoro di un gruppo di uomini in una miniera statale della Serbia, un luogo dal quale viene estratto il rame.

Si tratta di un viaggio a 600 metri di profondità che dà al regista la possibilità di esplorare contemporaneamente luci, suoni ed esseri umani.

Ben Russell parla di Good Luck al Carbonia Film Festival.
Ben Russell parla di Good Luck al Carbonia Film Festival.

Nella seconda parte si scopre una miniera d’oro (illegale) nel Sud America, ovvero in Suriname.

Scopriamo le persone che ci lavorano e notiamo importanti differenze rispetto agli uomini della Serbia, ma anche tanti tratti in comune.

Il regista lascia parlare più di ogni altra cosa le immagini, i volti dei lavoratori, i suoni e i rumori.

Poi le domande, poche ma intense.

Emergono degli uomini senza paura, mossi dal desiderio di cercare un futuro migliore per se stessi e per i figli.

Questa è la luce nell’abisso, reale e metaforico, che offre un senso ancora percepibile nella quotidiana lotta necessaria alla sopravvivenza.

Il film obbliga lo spettatore a fare i conti con un ritmo totalmente differente rispetto alla moderna quotidianità delle persone.

La macchina da presa segue i lunghi percorsi per arrivare ai luoghi del lavoro, un’interminabile discesa in ascensore in Serbia, un sentiero da percorrere a piedi in Suriname.

Uno dei lavoratori della miniera d'oro in Suriname.
Uno dei lavoratori della miniera d’oro in Suriname.

Good Luck non scende a compromessi, si prende i tempi che gli occorrono esplorando dall’interno i mondi di questi lavoratori.

Lo fa in 143 minuti di film, un’opera ricca di immagini e suoni che costituiscono un valore a sé indipendentemente da qualsiasi linea narrativa.

Un aspetto particolarmente interessante del lungometraggio di Ben Russell riguarda il rapporto tra le sue due parti.

La prima, quella ambientata in profondità nella miniera della Serbia, è caratterizzata dal buio delle gallerie.

Con Viejo Calavera al Carbonia Film Festival 2016 avevamo già avuto occasione di vedere le meraviglie fotografiche che il cinema può sviluppare in questi scenari.

Anche con Good Luck lo spettatore può godere di un’esperienza visiva incredibilmente appagante.

La seconda parte è invece in superficie, dove la luce del sole illumina decisa gli ambienti delle riprese.

Questo rapporto tra buio e luce è piuttosto palese (lo stacco è forte e rende evidente la distinzione) e si intuisce facilmente già dai primi istanti in cui si racconta la miniera d’oro sud americana.

Tuttavia il senso di questa combinazione a ben vedere ha delle implicazioni piuttosto sottili che vanno individuate in senso stretto nell’intero film.

Un'immagine tratta da Good Luck,
Un’immagine tratta dal film.

C’è infatti una continua complementarietà e regolarità nella medesima opposizione.

Gli uomini dei paesi raccontati sembrano totalmente differenti tra loro, più rassegnati e disincantati quelli della miniera sotterranea, reattivi e in costante ricerca della simbiosi quelli della superficie in Suriname.

Nonostante questo i punti in comune sono altrettanto forti e significativi e in un certo senso, all’interno del ritmo e del contesto del film, questa è la stessa meccanica di opposizione e complementarietà che si ritrova nella forma stessa del lungometraggio.

Visi pallidi e visi scuri, accomunati da uguali reazioni ed espressioni, all’interno di una stessa inquadratura che segue un’identica metrica dall’inizio alla fine.

Suoni simili e suoni differenti, creano una colonna sonora ritmicamente coerente.

I luoghi così lontani che costituiscono il corrispettivo l’uno dell’altro, le luci e le ombre, il sottosuolo e la superficie, le parole e i silenzi, la miniera legale e quella illegale, lingue totalmente diverse che significano le medesime speranze.

Tante facce opposte di una stessa identica medaglia.

In quest’identità costituita da opposizioni rientra anche il riferimento a Carbonia, la città che ha ospitato il Festival che tanto ha voluto il film di Ben Russell – nonostante non si tratti propriamente di un’opera semplice da visionare e seguire.

Sono in tutti i casi delle storie fatte di fatica, di sacrifici, di rinunce personali, sociali e ambientali.

Tutto questo, per un futuro incerto.

Cosa dire?

Good Luck.