La gravidanza surrogata – Capirla chiarificando termini e concetti

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surrogataimgNei giorni scorsi, alcuni fatti messi in risalto dai media italiani, hanno portato l’opinione pubblica a dibattere su un argomento ben noto a chiunque si occupi, o si sia occupato, di etica e in particolare di bioetica – ma certamente conosciuto dalla maggior parte delle persone, sia per tematiche antiche, che per questioni relativamente recenti: la gravidanza surrogata.

La gravidanza surrogata è la pratica attraverso la quale una donna affronta e porta a termine una gravidanza “al posto di” un’altra persona, permettendo quindi ad altri individui di diventare genitori senza gestazione.

Recentemente, più che mai, visto il ricorso alla gravidanza surrogata da parte di coppie omosessuali, è diventato importante “universalizzare” la terminologia, così da non limitare il fenomeno a una concezione madre-madre. Operare distinzioni già a questo livello può essere importante per chiedersi innanzitutto dove sia opportuno collocare il problema. È bene notare, infatti, che prendere posizione in base al soggetto “richiedente” la surrogata, è ben altra cosa dal mettere al centro della questione la madre surrogata; così come porre  l’accento su eventuali “compensi”, significa spostarsi su un piano completamente diverso che non ha nulla a che vedere con un’eventuale problematica relativa alla surrogata “in sé”.

Detto altrimenti: per chiarificare un problema è fondamentale capire dove effettivamente sia il problema.

Alcune persone ritengono che sia inaccettabile l’esistenza di un “mercato” delle gravidanze, ovvero il portare a termine la gestazione per conto di terzi in cambio di soldi. A causa di questo fatto, la surrogata verrebbe percepita come una mercificazione umana inaccettabile, riguardante sia il bimbo, sia la donna, sia la relazione tra i due.

Analizzando questa posizione emerge subito il fatto che, stando così le cose, la surrogata in sé risulterebbe totalmente ammissibile. Infatti, una surrogata portata a compimento gratuitamente, non farebbe sorgere la problematica.

Questa posizione insomma, rende accettabile la gravidanza surrogata spostando il problema sugli interessi economici.

A questo punto, il critico della surrogata a pagamento avrà il difficile compito di dimostrare l’immoralità degli interessi economici e degli scambi o compensi. Non ci sono evidenti motivi per sostenere questa tesi, salvo fare appello alle situazioni di disagio e povertà nella quale potrebbe trovarsi una donna che, per disperazione, potrebbe decidere di portare avanti una gravidanza in cambio di denaro. Tuttavia, in questo caso, si sposterebbe il problema su un altro piano, quello della giustizia sociale. Non solo il problema non è strettamente pertinente, ma l’appello a quest’argomento renderebbe legittimo ciò che si voleva spacciare come illegittimo, poiché basterebbe garantire l’equità dello scambio per renderlo accettabile. In ogni caso, criticare l’iniquità di un compenso o le condizioni di disagio della persona che accetta lo scambio non ha nulla a che vedere con la problematicità della surrogata in sé, ed è in effetti un problema riscontrabile in qualsiasi altro genere di attività.

In questi giorni di dibattito, si sono sentite argomentazioni di ogni tipo, pro e contro la gravidanza surrogata. Spesso in modo ingenuo, sono emerse considerazioni trattate ampiamente da diversi anni dagli studiosi di queste tematiche. Si è sentito parlare, ad esempio, di una supposta dannosità della surrogata.

Ora, parlare di dannosità implica un soggetto danneggiato. Occorre quindi capire chi e perché risulterebbe danneggiato a tal punto da rendere inammissibile tale pratica. Questa convinzione è abbastanza forte da impedire alle persone che non possono procreare di mettere al mondo un nuovo essere umano da crescere, quindi merita un approfondimento. Mi sembra sufficiente, in questo caso, prendere in considerazione, come soggetti morali, i richiedenti, la gestante e il nascituro.

Per quanto riguarda le persone in cerca di volontarie disposte ad affrontare la gravidanza, appare immediatamente contro intuitivo pensare che queste possano subire un danno, visto che sono proprio loro a richiedere tale pratica. Si tratta di persone desiderose di mettere al mondo un essere umano e di crescerlo; spesso si tratta di individui che, pur di diventare genitori, sono disposti a fare lunghissimi viaggi, spendere cifre anche molto alte e sfidare l’opinione pubblica, tanto è grande il desiderio di favorire una nuova vita. Non si capisce quindi come soddisfare questo desiderio possa danneggiarli.

L’altro soggetto da prendere in considerazione è la donna che affronta la gravidanza surrogata. Solitamente, i critici della surrogata parlano di innaturale separazione dal bimbo portato in grembo per nove mesi e di mancato rispetto della sua dignità di donna e madre.

L’appello alla natura è sempre problematico e richiederebbe degli approfondimenti a parte, ma è bene notare che la realtà è piena di casi di separazione spontanea di donne dal proprio neonato, madri che non vogliono essere madri, persone che hanno affrontato delle gravidanze surrogate con serenità. Ci sono casi effettivi, facilmente intuibili e in ogni caso ben documentati, che fanno immediatamente vacillare quest’appello alla natura. La gravidanza è un qualcosa di profondamente soggettivo. La sua stessa percezione, persino in una dimensione puramente immaginativa, può differire totalmente da persona a persona. Le variabili sono moltissime e riguardano tanto la sfera psicologica quanto quella fisica. Ci sono donne che del parto e dei mesi che lo hanno preceduto ricordano le fatiche e i dolori, altre per le quali tutto è stato bello e sereno. Universalizzare la propria esperienza fisica e psicologica e la propria relazione col nascituro, può portare a conclusioni totalmente errate e prive di qualsiasi fondamento.

Per quanto riguarda il mancato rispetto, sorge spontanea la domanda: mancato rispetto di cosa?

Non c’è un obbligo di gravidanza surrogata, e ci si può semmai chiedere se il mancato rispetto non risieda proprio nel tentativo di limitare l’autonomia della donna decidendo, al posto suo, se le sia concesso o meno di accettare di portare avanti una gravidanza “altrui”. La dignità della donna dipende in primo luogo dalla sua autonomia e sarebbe quanto meno strano pensare di tutelare la dignità limitandone l’autonomia.

E se l’autonomia fosse, a sua volta, condizionata da fattori sociali ed economici?

In fondo, come ha scritto Stefano Rodotà:

«Di quale esercizio della libertà si può parlare quando il condizionamento economico esclude la possibilità di decisioni davvero autonome?» (Libertà personale. Vecchi e nuovi nemici, in Quale libertà? Dizionario minimo contro i falsi liberali, a cura di M. Bovero, Laterza 2004).

Ma è bene ribadire che la questione riguardante l’equità e la giustizia sociale, non ha nulla a che vedere con l’eticità della surrogata in sé. Lo sfruttamento delle persone non è accettabile ed è a tutti gli effetti un’ingiustizia, ma questo è vero a prescindere dalla surrogata: vale per qualsiasi prestazione, poiché l’ingiustizia non trova fondamento nel fatto specifico, bensì nella condizione di povertà e disagio.

Se invece si vuole prescindere dalle considerazioni riguardanti l’equità e scagliarsi contro il “compenso in sé”, la situazione diventa ulteriormente confusa.

In effetti, chi tende a sostenere questa posizione spesso fa ricorso a termini forti, quali dignità, mercificazione, condizionamenti, etc.; si è sentito parlare persino di “utero in affitto”. Ma le sue argomentazioni restano, quanto meno, deboli e spesso del tutto prive di un qualsiasi fondamento.

La domanda resta la stessa: esattamente, dove dobbiamo collocare il problema?

Se il problema venisse collocato nel compenso in sé, non si capirebbe per quale motivo si dovrebbe considerare legittima una qualsiasi altra prestazione in cambio di denaro, dalla vendita di un gelato alle ripetizioni di latino.

Se il problema venisse collocato nel bisogno del compenso, sostenendo ad esempio che una madre che ha bisogno di soldi per pagare la scuola al figlio stia subendo una privazione della propria libertà – in quanto portata dalla necessità ad accettare una gravidanza surrogata -, si creerebbe uno strano e pericoloso precedente, nel quale verrebbe dipinta, seppur indirettamente, una situazione nella quale la quasi totalità degli esseri umani sembrerebbe essere schiava del bisogno e per questo costitutivamente priva della libertà e dell’autonomia. Uno scenario inquietante, in quanto la maggior parte delle azioni umane apparirebbero prive di autonomia e libertà, con evidenti conseguenze devastanti per qualsiasi prospettiva etica.

Un argomento del genere, nella problematicità del suo fondamento, allontanerebbe in ogni caso la difficoltà dalla surrogata in sé, spostando l’attenzione sul piano della filosofia politica e riguardando la bioetica solo indirettamente. La sua consistenza, in ogni caso, sembra dipendere prevalentemente da un soggettivo fastidio per la pratica della surrogata e le argomentazioni fanno leva quasi esclusivamente sull’impatto emotivo dei termini e delle immagini in gioco, ma non emerge nessuna argomentazione realmente consistente.

L’ultimo soggetto morale da prendere in considerazione è il nascituro. Si potrebbero fare molte considerazioni specifiche in tal proposito, ma una, forse la più generale, sembra essere decisiva: costituirebbe un vero e proprio cortocircuito, suonando quanto meno strano, sostenere di voler fare il bene del nascituro non facendolo nascere. Quest’osservazione, valida anche per altre tematiche bioetiche, rende necessario domandarsi in quale senso una modalità di procreazione potrebbe causare un danno a chi, senza quella stessa modalità, non sarebbe mai nato.

In conclusione, occorre evidenziare la mancanza di chiarezza terminologica e concettuale relativa a questa tematica così delicata. È importante problematizzare tutti gli aspetti riguardanti la gravidanza surrogata, ma per condannare platealmente una qualsiasi pratica, occorrerebbe perlomeno individuarne e giustificarne l’immoralità. Si tratta, infatti, di scelte con ripercussioni su ogni livello che riguardano sia i possibili nascituri – si decide, seppur indirettamente, della loro stessa esistenza -, sia le persone che non possono procreare autonomamente, sia le donne che decidono di portare avanti la gravidanza surrogata.

L’attenzione nella critica dovrebbe essere almeno proporzionale all’attenzione nella pratica.

Nicola Ruvioli