Carbonia: alla ricerca della Sinistra perduta…

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Puntare sui giovani e il cambiamento. Queste le parole chiave e i propositi (per ora solo sulla carta) che circolano negli ambienti del PD a Carbonia e più in generale del centrosinistra per ripartire dopo la debacle elettorale delle scorse settimane.

Un’esigenza e una rivendicazione latenti tra gli elettori, manifestatesi chiaramente col voto delle ultime tornate elettorali, oltre che dalla marcata disaffezione di quello che un tempo veniva chiamato il popolo di sinistra, sempre pronto a scendere in piazza a ogni occasione.

Di quel popolo oggi si son perse, per gran parte, le tracce. E’ come se si fosse volatilizzato.

E se in ambito nazionale circolano le più svariate analisi sulle motivazioni per cui oggi il PD apparirebbe in difficoltà: dall’ex Presidente del Consiglio e della Commissione Europea, Romano Prodi, che dà la colpa di questa situazione all’incapacità del governo di intervenire nelle “sempre più crescenti disuguaglianze e ingiustizie sociali che affliggono il popolo”, a quelle del redivivo Massimo D’Alema che punta il dito sul gruppo dirigente del PD definendolo come un accolita di “arroganti” reo di “aver dissipato la vecchia cultura dell’Ulivo e quindi di una sinistra progressista capace di parlare ed essere credibile agli occhi dei ceti più deboli”, all’intellettuale Massimo Cacciari che punta il dito contro “una sinistra conservatrice ostaggio e strumento dei poteri forti finanziari”, fino alla vice segretaria PD Debora Serracchiani che punta il dito sulle “divisioni fratricide e l’opera di destabilizzazione della Minoranza Dem”.

Quanto, invece, risultano valide tali analisi in una realtà estremamente decentrata come Carbonia dove la sinistra nelle varie forme ha ininterrottamente governato per quasi 70 anni detenendo tutte le leve del potere?

Di sicuro nel risultato della città mineraria, oltre alle evidenti divisioni e all’opera di continua erosione degli espulsi locali del PD, ha inciso non poco la drammatica situazione economico-sociale e gli innumerevoli proclami disattesi come quelli dell’anno scorso del Presidente Renzi che aveva promesso di riavviare le realtà produttive industriali e permettere così il rientro a lavoro per migliaia di persone. (Sarebbe interessante conoscere chi, dal Ministero dello Sviluppo Economico, azzardatamente gli suggerì di dichiarare certe cose)

Ma c’è anche dell’altro. Da tempo i cittadini non si sentono sufficientemente rappresentati nelle proprie esigenze, nei propri interessi e nelle difficoltà che attraversano, dai rappresentanti della classe dirigente politica. Un tempo la sinistra, a torto o ragione, era considerata la sponda d’approdo delle classi meno abbienti, dei lavoratori tutti e di coloro che sognavano un mondo meno diseguale e più giusto. Oggi non più.

Nel nostro territorio, storicamente, abbiamo avuto miriadi di esempi e di fasi di lotta spesso anche cruente, dalle occupazioni dei pozzi minerari, alle marce su Cagliari, ai blocchi stradali e agli scioperi generali, a quelli a oltranza nei luoghi di lavoro. E ogni volta alla guida di queste rivendicazioni era forte l’impronta della classe politica di sinistra che contribuiva a tracciare il percorso e ad indicare la via. Battaglie vinte e perse, ma nessuno si sentiva abbandonato a se stesso o totalmente in balia degli eventi.

Al contrario di oggi, dove i sempre meno lavoratori attivi con grande fatica sono organizzati dal Sindacato che a sua volta ha sempre maggiori difficoltà a trovare sponde politiche nelle istituzioni allo scopo di affrontare e risolvere le questioni dirimenti.

Ma è un ragionamento che vale indistintamente per tutti i cittadini, spesso e volentieri vessati dall’iniquità delle tasse, dalla burocrazia, dall’inefficienza della Pubblica Amministrazione e dall’assenza di prospettive e opportunità.

La parola “rappresentanza” si regge innanzitutto sui concetti di credibilità e fiducia. Oggi i cittadini denunciano un grave deficit di credibilità nella classe dirigente politica locale e di conseguenza non si fidano di essa. Possiamo dire di vivere, in particolare nel nostro territorio, in un’epoca di delegittimazione reciproca o incrociata dove chiunque viene messo in discussione e nessuno riesce a garantisce il livello minimo e indispensabile di credibilità tale da poter rappresentare le istanze e gli interessi dei cittadini.

Non a caso l’ultimo vero grande leader politico del PD e quindi della sinistra locale capace di vincere le elezioni a maggioranza schiacciante a Carbonia, di andare nelle assemblee dei lavoratori a raccoglierne la fiducia oltre che gli applausi e il sostegno, quello per cui negli stabilimenti industriali nel 2010 vennero spontaneamente raccolte le firme per convincerlo a candidarsi alle elezioni provinciali (poi vinte) e che riusciva a mettere d’accordo tutti anche oltre i recinti della propria appartenenza politica, è stato Salvatore Cherchi.

In altre parole l’ultimo a risultare complessivamente credibile e capace di rappresentare concretamente e indistintamente le istanze popolari della maggior parte dei cittadini che di lui si fidavano.

Dopo lui, la sua eredità politica è stata per certi versi dilapidata: il PD ha progressivamente intrapreso nel territorio un percorso di crisi e disintegrazione della propria immagine e della propria rappresentanza di cui immediatamente ha saputo approfittare il M5S capace, grazie anche all’imponente appeal costituito dal simbolo e dall’amplificazione mediatica garantita dai propri rappresentanti in parlamento, di farsi portavoce della rabbia, della frustrazione e del risentimento popolare.

In considerazione di ciò, il PD locale, oltre a dover ricalibrare e riarticolare la propria presenza nel territorio, dovrà necessariamente tornare a essere una vera forza di sinistra rioccupandosi, innanzitutto, della battaglia madre per il territorio, e di conseguenza anche la più sentita tra i cittadini, ovvero quella del lavoro.

Ma contestualmente, in linea con i propositi soprammenzionati in apertura di articolo, dovrà anche dare il via a una profonda operazione di restyling puntando con coraggio sui propri giovani migliori non compromessi dalle stantie logiche correntizie di partito e capaci realmente di essere popolari, di sporcarsi le mani, di esporsi per le battaglie che contano e di rappresentare nuovamente un’alternativa e un punto di riferimento per i cittadini disorientati e disaffezionati dalla politica.

Insomma, di essere prima di tutto militanti tra la gente e poi dirigenti del partito.

MANOLO MUREDDU